Omaggio a Lucio, comasco adottivo

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 53 - marzo 2008



Quando si pratica uno sport di fondo, mantenere il passo e’ fondamentale: se tieni il ritmo, gambe e braccia vanno da sole, i chilometri filano via e la fatica stenta a farsi sentire.
IPod ed altre diavolerie elettroniche aiutano molto a cercare la giusta cadenza, ma io, zuccone, quando marcio con i miei fidati bastoni da nordic walking, mi limito a canticchiare tra me e me e le melodie cambiano a seconda di quanta forza metto nel passo, o di quanto acido lattico ho nelle gambe.
All’inizio nella mente si affollano filastrocche ricche di energia e anche di un po’ di orgoglio da scaricare sull’asfalto; ecco il fantasma del Sergente Hartman, quello di “Full Metal Jacket” che mi urla nelle orecchie le sue “marines cadences”, quasi fossi un novello soldato Palla di Lardo:

Well, I don't know but I've been told
The Marine Corps is mighty bold.
And up upon the bolden scene,
Stand the United States Marines


Piu’ la fatica aumenta, meno marziale mi sento ed e’ automatico che, assieme ai primi crampi nei polpacci, la cadenza si trasformi in una versione per nulla ufficiale e decisamente piu’ goliardica:

Well, I don't know but I've been told 
Eskimo pussy is mighty cold...

…e il resto e’ meglio non raccontarlo…


La faccenda pero’ dura poco: i capelli bianchi e la stanchezza cancellano presto dalla mente eroismi e smanie di grandezza ed alla fine e’ sempre lui ad accompagnare con le sue note i miei passi fino al traguardo: il grande Lucio.
D’altra parte la mia generazione, quella dei cinquantenni di oggi, e’ cresciuta a pane e Battisti e “Il mio canto libero” e’ stato per noi qualcosa di piu’ di un semplice ellepi; dietro a ogni canzone, dietro ad ogni album c’e’ infatti uno scampolo della nostra vita ed una personalissima associazione tra fatti vissuti, musiche e testi.
Ecco la spensieratezza dell’infanzia, con “Un’avventura”, “Non e’ Francesca”, “Balla Linda”, canzonette da cantare in allegria in attesa degli esami di terza media.
Con “Acqua azzurra, acqua chiara”, “Mi ritorni in mente”, “Emozioni”, si rinnova il ricordo delle prime cottarelle e, nel contempo, dei frizzi e dei lazzi rivolti agli amici di qualche anno piu’ grandi e gia’ perdutamente ingolfati nel pantano degli amori giovanili.
Il nostro turno di infilarci in quegli amori che tanto ci avevano fatto sorridere solo pochi mesi prima, arriva con “I giardini di Marzo” ed “Innocenti evasioni” mentre “Il mio canto libero”, segna l’apogeo dei turbamenti adolescenziali e del cammino verso la maturita’.
Segue poi la malinconia de “La collina dei ciliegi”, “Il nostro caro angelo”, “Ancora tu”, che coincisero o seguirono di poco la fine del liceo, il distacco dai compagni con i quali si erano condivisi anni irripetibili ed il giorno in cui ci si disse semplicemente “ciao”, prendendo ognuno la propria strada verso la vita.
Chi sia stato Lucio Battisti e’ inutile che lo racconti io: fiumi di inchiostro sono stati versati e milioni di parole sono state spese al riguardo da miriadi di autori.
Semplicemente, a dieci anni di distanza dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1998, voglio rinnovare il mio omaggio a chi seppe segnare una generazione con la propria musica, a chi fu il denominatore comune della gioventu’ di allora, altrimenti divisa tra Fronte della Gioventu’ e Lotta Continua, tra Beatles e Rolling Stones, tra Thoeni e Gros, tra Mazzola e Rivera.
Dietro alla semplicita’ e all’enorme valore poetico delle parole scritte dal grande Mogol, i concetti espressi da Lucio piu’ di trent’anni fa sono ancor oggi drammaticamente attuali.
Come non restare colpiti, ad esempio, da un verso come “e’ solo la paura che inquina e uccide i sentimenti; le anime non hanno sesso ne’ sodomie”, in un’Italia che fatica ad affrancarsi dall’ignoranza e dalla paura di chi e’ diverso?
Non sarebbe piu’ facile uscire dall’impasse in cui ci troviamo e comprendere finalmente quale dignita’ assegnare alle “unioni di fatto”, omo od eterosessuali che siano, se ascoltassimo Lucio e capissimo che l’amore e’ prima di tutto un incontro di anime ed il sesso, il lui/lei, il lui/lui o il lei/lei vengono solo in second’ordine?
Forse, assodato questo, non sarebbe difficile dare una precisa collocazione a queste anime innamorate e praticare quella tolleranza tanto predicata e cosi’ poco applicata, per quanto le nostre convinzioni sociali, religiose o sessuali vadano magari in senso opposto.
E quante famiglie traballanti troverebbero una nuova compattezza se si seguisse l’esempio degli amanti di “Prendila cosi’”, che hanno la forza di interrompere un rapporto sentimentale perche’ lei ha impegni di figli, forse ha anche un marito e “loro senza me, e' un problema di coscienza”?
Non un impiccio, non un impedimento, non un problema da risolvere, ma semplicemente un problema di coscienza, una questione di serieta’, di incapacita’ di guardarsi allo specchio senza vedersi in colpa, perche’ un rapporto si puo’ anche affievolire nel tempo, ma un’unione, specie se suggellata dalla nascita di figli, non la si puo’ considerare una burletta da prendere o lasciare a proprio comodo.
Peraltro se “amarsi un po’ e’ come bere, piu’ facile che respirare”, non aspettiamoci molto dagli incontri occasionali cosi’ in voga al giorno d’oggi, che i nostri giovani ed anche i meno giovani inanellano con leggerezza come perle sul filo di una collana: “volersi bene, partecipare, e’ difficile quasi come volare!”
Un problema di coscienza: un concetto semplice ma impegnativo, che oggi preferiamo seppellire il piu’ profondamente possibile, fino al punto di togliere la parola a chi vorrebbe mantenere vivi questi principi, magari parlandoci anche di quel perdono di cui “Comunque bella” rappresenta l’apologia, il perdono completo nonostante le corna appena subite, per pura ripicca e per un sospetto infondato.
Chissa’ poi quante persone insoddisfatte, troverebbero nuova linfa vitale se avessero la stessa attenzione di Lucio alle piccole cose quotidiane, come “spingere un carrello pieno sotto braccio a te”, stare “seduti accanto in un’osteria” o semplicemente essere felice perche’ “lavoro e penso a te”.
Lucio Battisti, antidivo per eccellenza, “non un orso, non un presuntuoso”, per usare parole sue, ma una persona che non voleva diventare un bene di consumo, scelse i dintorni di Como dapprima per lavorare e poi per vivere il suo volontario esilio dalla popolarita’; anche sui perche’ di questa scelta sono state scritte pagine e pagine e non voglio dilungarmi, ma mi piace pensare che il cantante abbia trovato nel carattere schivo e un po’ asociale dei comaschi la garanzia della tranquillita’ e della pace che egli agognava.
Un male bastardo ci ha portato via la sua voce troppo presto, ma anche oggi, nel piccolo cimitero di Molteno, Battisti continua ad essere un comasco “in pectore”.
Infatti, a differenza del sito di sepoltura di altri divi, Molteno non e’ mai diventato luogo di culto ne’ meta di pellegrinaggio di comitive di fans, ne’ lo sono la casa dove vivono la moglie ed il figlio. 
Coloro che si recano in visita sulla sua tomba, lo fanno in maniera cortese e silenziosa, ricordando che, come recita un proverbio locale, “se vai a fare visita ad un comasco gli fai un piacere; se non ci vai gliene fai due”.
Anche Lucio, ad onta della sua origine reatina che spesso nella nostra immaginazione fa il paro con un carattere esuberante e caciarone, era fatto cosi’ e cosi’ mi piace ricordarlo, come uno dei nostri, come una voce che vibra con il nostro lago sullo sfondo.
E’ stato la colonna sonora della mia vita e continuera’ ad esserlo, riempiendo di melodia la mia casa, o cantando da un CD per rendere piu’ brevi i viaggi in auto, o semplicemente risuonando nella mente per ritmare il passo del mio fitness.
Come ogni volta i versi giusti verranno a galla nella memoria al momento piu’ opportuno, consentendo di andare avanti nella vita o piu’ semplicemente nello sport, magari con prudenza, ricordandomi di evitare “le buche piu’ dure” e di trattare il mio corpo “gentilmente senza strappi al motore”, che con gli anni non si scherza. 
Le sue parole, ne sono certo, continueranno a farmi compagnia e ad ammonirmi riguardo al fatto che “il mio mestiere e’ vivere la vita, che sia di tutti i giorni, o sconosciuta” e mi sproneranno a tenere duro anche se “le rughe han troppi secoli oramai, truccarle non si puo’ piu’.”

Grazie di tutto, comasco adottivo!