Anni fa
cominciai a scrivere…
Non so bene come mai ma, ad un certo punto della mia
vita, c’erano cosi' tante emozioni dentro di me che
metterle sulla carta divento' l’unico modo per
scaricare la mente e riuscire a vivere un po’
tranquillo.
Non immaginavo allora che questo fatto avrebbe in qualche
modo cambiato la mia esistenza, perche' l’ultima
delle mie idee quando cominciai a picchiettare sulla
tastiera del computer era quella di scrivere qualcosa che
un giorno sarebbe stata pubblicata, che avrebbe avuto un
discreto successo, che avrebbe contribuito a fare dello
scrivere una professione che ho svolto per anni, che
allora era lontana mille miglia dalla mia mente.
Non sono mai stato molto incline all’arte e
l’unica cosa che ho sempre apprezzato trovandomi di
fronte a grandi capolavori e' l’incredibile abilita'
tecnica di chi seppe ricavare dal marmo statue
meravigliose, o dipingere quadri di grande realismo.
Mai ho considerato veritiere le parole di pittori che
dissero di trarre ispirazione dalla tela bianca, o di
scultori secondo i quali la statua era gia' nel marmo e
attendeva solo di essere tirata fuori.
Tecnica, nulla di piu': sapienti colpi di martello sulla
pietra, leggiadri tratti di pennello sulla tela, ma in
fondo tecnica.
Perche' dovrei disegnare una Venere sorgente dalle acque
se ho in mente di dipingere un cavallo al galoppo?
Tecnica.
Scrivere un libro?
La stessa cosa: fantasia o ricordi, un po’ di
grammatica, di sintassi e il tempo di incidere nella
memoria del computer le proprie parole; questo voglio
scrivere, questo scrivo. Tecnica.
Invece le parole del mio primo libro andarono giu' per
loro conto e, solo una volta avuto tra le mani
l’oggetto finito, riuscii a rendermi conto che il
tutto aveva un carattere che forse lontanamente
assomigliava al mio e che con un po’ di buona
volonta' si poteva trovare un filo conduttore che unisse
la prima parola all’ultima.
Capacita', forse, un po’ di cultura per usare i
congiuntivi il meno italianamente possibile, ma
sicuramente tecnica zero. Emozioni, questo si'.
Il mio primo volume, “L’Asso di Cuori”, e'
nato cosi', con l’unico scopo di fare piazza pulita
dal mio cervello di un carico di sensazioni.
Il caso, la fiducia di qualcuno e forse anche una certa
qualita' dello scritto, hanno portato il libro nelle case
di qualche migliaio di lettori, in due edizioni diverse e
in una ristampa.
Ho pagato lo scotto del principiante, ho dato vita a
qualcosa che mai avrei pensato di essere in grado di fare
e mi sono presentato bello pimpante alla prima pagina di
questo nuovo scritto, convinto che questa volta avrei
saputo condurre le parole secondo la mia mente e
confezionare un lavoro che finalmente riflettesse il
progetto iniziale dell’autore.
Quale errore: fin dalle prime pagine “Effetto
Cielo” si e' dimostrato un cavallo bizzarro che mi
ha costretto a scrivere se, come e quando a lui faceva
comodo.
Ho pigiato forte sul pedale dell’acceleratore per
arrivare di corsa in ufficio e scaricare nel Mac idee che
premevano dolorosamente sulle mie meningi per venire alla
luce, ho saltato pasti perche' troppo era lo spasimo
dello scrivere per pensare ai crampi dello stomaco.
Ho scritto alcuni brani mettendomi a nudo in maniera
assolutamente integrale, certo che se alcune parole
finiranno nelle mani sbagliate creeranno dei malumori.
Ho rubato ore al lavoro e per compensare ho lasciato che
il lavoro rubasse ore alla mia vita, ho imprecato per ore
e ore guardando lo schermo bianco, mentre la mente gemeva
troppo piena e le dita, quelle maledette, non si
mettevano in moto.
Ho imprecato ancora di piu' quando le dita, quelle
maledette, non si fermavano mai, mentre la mente chiedeva
un po’ di break.
Non parlo delle notti insonni; quelle non contano perche'
io ho perso da anni la buona abitudine di dormire ed il
tormento di una mente durante una notte insonne lo puo'
comprendere solo chi lo ha provato.
Alla fine e' nata una nuova creatura.
E' saltata fuori quando si e' sentita pronta, ignorando
le spinte dell’utero letterario di chi se ne sarebbe
liberato prima molto volentieri; ha succhiato la mente
dell’autore fino a che la cosa gli e' stata gradita
e se ne e' pasciuta con ostentato piacere.
Se confermera' nella sua esistenza il suo carattere
indipendente, temo che ne vedremo delle belle.
Di certo a me ha insegnato qualcosa: c’e' una statua
che preme per uscire in ogni pietra del mondo, c’e'
un quadro gia' disegnato in ogni tela bianca abbandonata
in un negozio d’arte, c’e' un libro gia'
scritto nell’hard disk di ogni computer.
Uno scultore, un pittore, uno scrittore altri non sono se
non individui che in un flash della loro vita riescono a
scorgere quella figura nella pietra, quell’immagine
sulla tela, quelle parole sull’hard disk e se le
imprimono bene nella mente.
Poi brandiscono il martello e picchiano sodo, o muovono
un pennello con maestria o pigiano all’infinito
sulla tastiera, ma in verita' non fanno niente di loro:
sono strumenti, non attori.
Ci vuole una donna per mettere un figlio al mondo, ma una
volta partorito, molto presto il pargolo vivra' di vita
propria e vorra' andare dove meglio gli sembrera': si
ribellera' alla madre, la deridera', qualcuno persino
arrivera' ad ucciderla pur di essere libero.
Il corpo, quello che la madre ha pazientemente protetto
per nove mesi nel proprio grembo, e' solo uno strumento
per dare una sede ad una forma di pensiero che gia'
esisteva chissa' dove e chissa' dove ritornera' quando i
giorni del corpo saranno terminati.
Il pensiero no, quello non si fermera'.
Allo stesso modo uno scultore, un pittore, uno scrittore
sono solo dei prescelti, spesso contro la loro volonta',
a dare forma e vita a entita' che gia' aleggiano nel
limbo della mente umana; sono madri fecondate con la
violenza che portano in grembo una creatura che mai
avrebbero immaginato di concepire, ma ora che c’e'
non sanno astenersi dall’amarla, dal sentirla loro,
dal seguirla apprensive nella vita.
Essere in qualche modo artisti puo' dare fama e
ricchezza, ma la maggior parte di essi vivono solo il
tormento della loro condizione, riuscendo persino a
compiacersi di questo fatto.
Scriveva un grande cantautore, troppo presto scomparso:
“e' bello che dove finiscono le mie dita debba in
qualche modo incominciare una chitarra”.
In poche righe riassunti tormento ed estasi, fin troppo
spesso appaiati in chi ha una mente che sa accogliere il
pensiero.
Avevo ragione quando dissi di non essere uno scrittore,
nonostante molti mi contestassero questo fatto:
“Effetto Cielo” e' qui a dimostrarlo.
Avesse avuto una mano, o anche solo un dito per usare una
tastiera si sarebbe scritto da solo; per sua disdetta le
dita le ho io e quindi, siccome non sono capace di
scrivere a comando solo per accontentare qualcuno, ha
dovuto aspettare che il mio cervello tracimasse e che io
avvertissi ancora una volta il senso di troppo pieno.
Alcuni anni dopo l’uscita del mio primo libro e'
successo di nuovo ed eccoci qua.
Ah…non illudetevi!
Si parla di volo e di ali anche questa volta, pero' se
saprete guardare in fondo in fondo, vedrete che c’e'
anche un bel po’ d’amore, tra un’ala e
l’altra!
A
Papa',
che vola alto
libero da ogni peso,
mentre io ho ancora bisogno di un aereo
per poterlo fare.
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