Una questione di dimensioni

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 66 - maggio 2009




E’ vero: le dimensioni non sono tutto.
Calma, calma! Non precipitatevi a mettere a letto i bambini: non sto per addentrarmi in uno di quei discorsi scollacciati su un argomento che, assieme alle auto ed al calcio, rappresenta uno dei principali motivi di conversazione del maschio italiano. 
Parliamo di dimensioni, ma il soggetto di oggi sono le pietre. 
Da anni frequento le Alpi, volandoci sopra, scarpinando sui sentieri o semplicemente facendomi scarrozzare dagli impianti di risalita. 
Parliamo di pietre, dicevo, ma in fondo cosa sono le Alpi, se non enormi massi? 
Chi ha avuto la fortuna di vedere da vicino le montagne piu’ alte d’Europa, non puo’ non essere rimasto colpito dalla loro maestosita’; di certo uno spettacolo del genere si porta per sempre nel cuore e nella memoria, tale e’ la bellezza di questi giganti. 
Ci sono punti dell’arco alpino dove l’enormita’ dei monti e’ direttamente proporzionale al loro fascino e si rimane incantati nel vedere schegge di granito di quasi cinque chilometri di altezza stagliarsi verso il cielo; indubbiamente non si sarebbe altrettanto estasiati se il Cervino, il Monte Rosa o la Jungfrau fossero alti mille metri invece che piu’ di quattromila. In questo caso, davvero le dimensioni hanno il loro peso… 
Non avrei pero’ mai immaginato che nella mia vita sarei stato colpito in maniera ben piu’ viva da una pietruzza, che posta di fianco al Cervino, al Monte Rosa od alla Jungfrau, neanche si vedrebbe: una pietruzza di poco piu’ di cinque millimetri di diametro. 
A conferma che le dimensioni non sono tutto, un calcolo renale fa un male della malora; chi l’ha provato lo sa molto bene! 
Un sassolino di pochi millimetri sa manifestarsi con una sintomatologia talmente acuta da avere fatto scrivere ad alcuni autori di articoli medici che si tratta di un dolore peggiore di quelli del parto, di un colpo di arma da fuoco o addirittura delle piu’ gravi ustioni. 
Qualche Signora che ha provato sia l’esperienza di partorire, sia quella di avere una colica renale, non ha avuto dubbi nel dirmi: meglio altri otto bambini, ma per carita’, mai piu’ un calcolo. 
D’accordo, direte voi, ma tutto questo cosa c’entra con Como & dintorni? 
Siamo di fronte di nuovo ad un caso di megalomania e di voglia di mettere in piazza le proprie faccende private?
Ma non ne avevamo abbastanza del Grande Fratello? 
Per la verita’, mi sono addentrato in questo discorso solo per raccontarvi che in pieno centro di Como esiste una struttura sanitaria, il Valduce, dove nella notte del mio incontro con la piccola pietra sono stato trattato con cortesia, sollecitudine, un po’ di piacevole carita’ cristiana e anche con quel minimo di freddezza che comunque un operatore sanitario deve avere, per non lasciarsi coinvolgere troppo dal caso che ha di fronte e potere intervenire quindi con la massima serenita’ possibile. 
In una nazione dove ogni giorno si sente parlare di malasanita’, di inefficienza delle strutture pubbliche, di italica maleducazione e di menefreghismo in genere, quando si sta male nel cuore della notte non ci si avvia verso il piu’ vicino nosocomio con lo spirito migliore, temendo di finire abbandonati in una specie di bolgia dantesca, mentre il piccolo e sadico sassolino tormenta la tua schiena oltre misura. 
Ricordate il film “Io speriamo che me la cavo”, dove Paolo Villaggio, nei panni del maestro Marco Sperelli, in ospedale deve ricorrere alle maniere forti per ottenere le cure per la madre di Raffaele, suo allievo? 
Allora non avrete certo dimenticato la scena, in cui lui affronta una suora infermiera, urlando in un improbabile dialetto napoletano con inflessioni genovesi: “Allora, brutta capa ‘e pezza, ce la vurimmo fa’ chista siringa?”
Come non capirlo? 
Con una colica renale in corso, un paziente non ci metterebbe molto ad incollare al muro un eventuale medico inadempiente, perche’ per chi prova un dolore simile i secondi passano molto lentamente e anche un monaco di clausura perderebbe le staffe di fronte all’indolenza. 
In Valduce non ce ne e’ stato bisogno: ho avuto prontamente la mia “siringa” e le altre cure necessarie e sono stato rispedito a casa rimesso a nuovo o quasi. Grazie a Dio fino ad oggi la salute mi e’ sempre stata sufficientemente compagna di vita e non ho esperienze dei nosocomi cittadini che vadano oltre i normali esami di routine, ma non ho motivo di dubitare che anche le altre strutture sanitarie comasche offrano prestazioni di livello pari a quelle del Valduce. 
Quello che invece da’ da pensare e’ il fatto che oggi siamo qua, io a scrivere e voi a leggere di un episodio che dovrebbe invece rientrare nella normalita’, al punto da non suscitare interesse alcuno nel raccontarlo. 
C’e’ sicuramente qualcosa che non va quando usciamo da un ospedale sorpresi, se pure piacevolmente, di essere stati curati come si deve, oppure ci meravigliamo perche’ una lettera arriva al destinatario in tre giorni invece che in tre mesi, o ancora ci compiacciamo di vedere la citta’ pulita e ordinata, con le pensiline degli autobus non vandalizzate, le strade non imbrattate dagli escrementi degli animali e i fiori nelle aiuole appena cambiati.
L’andamento di questa nazione ed il fatalismo mediterraneo, unito ad un po’ di comaschissimo pessimismo, ci hanno insegnato a considerare “normale” il disservizio, il degrado, il disordine; vale pero’ la pena di fermarsi un attimo a riflettere e ritornare ad essere ben sicuri che non c’e’ nulla di eroico o di strano nello svolgere come si deve il proprio lavoro, nel trattare con cura la cosa pubblica, nel non sporcare, nel non rompere, nel non sprecare.
Purtroppo il tran tran quotidiano e i mille affanni della vita ci distolgono troppo spesso da simili ragionamenti e finisce che ci accontentiamo di sperare che anche oggi la giornata scorra via senza trovare lo sportello di un ufficio chiuso senza motivo, senza soffrire la maleducazione di nessuno e, possibilmente, senza rientrare a casa con le suole delle scarpe imbrattate. Il malcostume in genere trova facile dimora in questo atteggiamento e quindi siamo un po’ tutti responsabili delle cose che non vanno; nella fretta di tutti i giorni dimentichiamo di essere maggiormente attenti, vigili ed esigenti, oltre che ulteriormente ligi ai nostri doveri non solo di uomini, ma anche di cittadini. 
E allora benvenuta anche alla pietra, piccola ma carognetta, che mettendomi in una situazione diversa dal quotidiano mi ha portato a conoscere una realta’ dove persone comuni fanno il loro lavoro, senza pensare di essere chissa’ chi, ma semplicemente adoperandosi per fare di un lavoro ben fatto una cosa normale. La pietra, seppure in malo modo, mi ha costretto a fermarmi e da oggi so, per esperienza vissuta, che e’ normale essere assistiti e non dimenticati in un corridoio ed e’ altrettanto normale ricevere qualunque altro servizio che paghiamo attraverso le tasse. 
E’ ovvio che vale anche il discorso opposto: e’ normale prima pagare le tasse e poi pretendere i propri diritti; il furbo, l’evasore, l’intrallazzone, non sono certo il modello da imitare ma, sotto sotto, chi di noi non ha almeno una volta invidiato chi ha trovato la strada per pagare meno del dovuto? Ecco un altro punto su cui e’ meglio riflettere, perche’ dimostra come molti aspetti della nostra cultura siano alla base di tanti guai, piccoli o grandi che ci circondano. 
Per chiudere il discorso ed accontentare i curiosi, il mio calcolo ha deciso di sgusciare fuori il giorno dopo la colica ed ancora una volta ho avuto conferma che le dimensioni sono un concetto relativo. 
La fase espulsiva di un calcolo, credetemi, non e’ propriamente piacevole soprattutto nel maschio e una dimensione ridotta di una particolare parte del corpo avrebbe abbreviato il tormento... Pazienza: e’ passata e speriamo che non ritorni. 
Da oggi, oltre alle Alpi che ho gia’ ripreso a frequentare, le uniche pietre di cui mi voglio occupare sono i diamanti.
Quelli, almeno, fanno male solo al portafogli e parlando di portafogli, con i tempi che corrono, non e’ un disonore averlo piccolo!