Salone del libro di Torino 2010
In collaborazione con Volandia e Air Vergiate
13/17 maggio 2010


 




… e ad un tratto capii che non sarei più stato lo stesso uomo di prima...

 
Quelle là fuori erano
ali per davvero, quella che stringevo tra le mani era veramente una cloche, il rombo che sentivo era proprio quello di un’elica, sotto di me c’era il vuoto e sopra, soltanto il cielo.
Per la prima volta ero solo su un aereo; mio il cervello che lo gestiva, mie le mani che muovevano i comandi, miei gli occhi che osservavano gli strumenti, mia la voce che parlava per radio, mie e soltanto mie le decisioni e miei gli eventuali errori con il relativo prezzo da pagare.
Quale impegno, quali fatiche, quali sacrifici e quali sforzi avessi compiuto per arrivare fino a quel punto non avevano importanza alcuna; era giunto il mio turno di essere un pilota e quel volo, il primo volo senza un istruttore a bordo era un passaggio imprescindibile per guadagnare l’aquiletta dorata da mostrare orgoglioso sul petto.
Volavo, volavo per davvero, volavo tutto solo, anzi, volavamo insieme l’aereo ed io.
Lui si fidava di me ed io di lui; lui forniva trazione e portanza, io amministravo queste ricchezze in modo da rendere il volo liscio e sicuro e insieme vivevamo quest’attimo, che mi cambiava di dentro più di ogni altro momento della vita.
Durò solo pochi minuti e poi fummo entrambi felici e soddisfatti al suolo, lui, l’aereo, a godersi il meritato riposo, io, l’uomo, a riprendermi dall’ubriacatura di felicità e dallo sfinimento della concentrazione; da quel momento saremmo stati uniti per sempre per avere condiviso quest’attimo irripetibile.
Non sapevo, allora, che una lacrima mi sarebbe scivolata lungo le gote molti anni dopo, sapendo che la manovra di un pilota maldestro aveva segnato la fine del compagno di quel primo volo; un’altra lacrima mi sarebbe spuntata negli occhi resomi conto che lui aveva concluso con un atto di clemenza la sua carriera di aereo generoso, lasciando che il collasso della propria struttura permettesse all’occupante di uscirne ferito solo nell’orgoglio.
Perché abbia cominciato a volare non lo so; perché continui a farlo, neppure.
Lassù c’è qualcosa che aspetta da sempre tutta la gente dell’aria; che si voli per scopi civili, militari o per il puro piacere di farlo, nulla cambia.
Andiamo per aria perché quello è il nostro posto, andiamo per aria perché solo lì stiamo davvero bene e perché, come disse il grande Leonardo,

“chi ha provato il volo camminerà guardando il cielo, perché là è stato e là vuole tornare”.


L’appartenenza alla gente dell’aria può essere evidente fino dai giochi di bambino, o può essere latente e dissimulata dai casi della vita, ma ciò che è certo è che questa condizione non mancherà un giorno di manifestarsi e di portarci in volo.
Se siamo gente dell’aria la cosa certa è che voleremo, come piloti civili o militari, piloti professionisti o sportivi, con un elica davanti o senza neppure un motore, appesi ad un paracadute o ai comandi di un jet, ma nulla è più certo del fatto che un giorno staccheremo l’ombra da terra.

Come comincerà, nessuno può dirlo, ma un giorno, inevitabilmente, comincerà.

Forse sarà proprio per avere letto fino in fondo queste righe…