San Giorgio in Leventina
Il romanico sulla rotta delle mandrie

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 40 - gennaio 2007





A poche migliaia di metri da qua, l’autostrada si trasforma spesso in una bolgia infernale per gli automobilisti incolonnati, che attendono pazientemente il loro turno per accedere al tunnel del San Gottardo dopo che, a seguito dell’incidente del 2001, il passaggio delle auto e’ stato limitato a mille veicoli l’ora per ogni senso di marcia.
Basta invece lasciare l’autostrada all’uscita di Quinto e ritornare sui propri passi per pochi chilometri per trovarsi proiettati in un’oasi di pace e di tranquillita’, pervasa dal profumo del fieno, dai muggiti delle mucche e dal suono dei loro campanacci.
Presso il paese di Prato in Leventina, a circa mille metri di quota, sorge la chiesa di San Giorgio, uno dei non rarissimi esempi di stile romanico in questa zona, caratterizzata da uno splendido campanile di sasso a sei piani ed incastonata nel verde di un pascolo immacolato, a parte le immancabili tracce fumanti del passaggio delle mandrie.
All’ingresso della chiesa un cartello scritto a mano indica di rivolgersi alla custode per avere qualsiasi informazione: non ci sono indirizzi, ma solo l’invito a lasciare il sentiero e a percorrere fino in fondo una scala di sasso…
La scalinata e’ presto trovata; in un paese con un’unica strada asfaltata e pochi sentieri in erba, sbagliarsi e’ impossibile, ma la signora non c’e’: e’ domenica pomeriggio e gli impegni pastorali sono gia’ stati assolti durante il mattino.
Fino alla prossima festivita’, San Giorgio sara’ solo il regno della pace e del silenzio, fatto salvo qualche passante in cerca di un momento di raccoglimento.
San Giorgio sorge sulle fondamenta di una preesistente chiesetta romanica, delle quali si trova menzione gia’ nei documenti risalenti all’inizio del XIII secolo; peraltro diversi ritrovamenti archeologici indicano che la zona fu frequentata fin dall'eta’ del ferro e, in epoca romana, abitata fino ai piedi del San Gottardo.
Altre vestigia dimostrano che l’evangelizzazione del Canton Ticino era gia’ in pieno fermento all’epoca della costruzione di San Giorgio.
Dell’edificio originale rimane lo splendido campanile a sei ordini, mentre il resto della costruzione e’ un bell’esempio di architettura rurale, ove si possono ancora ammirare frammenti delle antiche decorazioni in stucco ed affreschi risalenti all’epoca barocca.
Sotto il portico esterno, caratterizzato da una suggestiva travatura lignea e dalla copertura in pietra, si osserva l’immagine di San Giorgio, il cui autore rimane anonimo, che risale probabilmente al periodo a cavallo tra il XV e il XVI secolo; la Via Crucis, incastonata nella recinzione in sasso della chiesa, e’ stata invece restaurata con stile contemporaneo.
Bisogna pero’ ammettere che le linee stilizzate e moderne delle cappelle che circondano la chiesa non fanno a cazzotti con la maesta’ del campanile e che, una volta tanto, nuovo e antico sono stati affiancati con buon gusto e non soltanto con quello spirito “demistificatore” che tanto ando’ in voga qualche decennio fa, quando si voleva ogni immagine sacra spogliata di qualunque orpello, pensando che la devozione verso il Padreterno, la Vergine e i Santi non avesse motivo di essere mediata da oggetto alcuno, ma fosse solo una faccenda di mente e di spirito.
Forse in quei tempi ci si dimentico’ della gente semplice, come quella che vive da queste parti, che dietro ad un’immagine della Madonna, o alla statua di un santo, non vede solo un legno scolpito o un muro dipinto, ma il simbolo di una fede che, in qualche modo, rappresenta le proprie radici ed una luce di speranza per un futuro piu’ sereno, in questo o nell’altro mondo.
Persino il Giuanin Guareschi, che di certo uomo di chiesa non era, in alcuni suoi romanzi racconta con un po’ di amarezza di quei pretini col clergyman, la spiderina rossa e l’aspetto piu’ da giovanotti rampanti che non da curati di campagna, in un’epoca in cui la tonaca e le candele rappresentarono il simbolo di un passato ingombrante e da dimenticare.
A chi si domandasse il perche’ di una chiesa di tale pregio in un paesino che ancor oggi conta poco piu’ di quattrocento anime, la risposta e’ presto data.
La Leventina, la vallata che conduce dal passo della Novena a Biasca, passando a ridosso del massiccio del San Gottardo, nei secoli scorsi era percorsa da numerose mandrie, trasferite dalla Svizzera interna per essere vendute nei mercati del bestiame di Bellinzona, di Milano o di altre citta’ lombarde.
Ogni autunno migliaia di capi e i relativi mercanti percorrevano la vallata in tutta la sua lunghezza, circa cinquanta chilometri, rappresentando un bersaglio ideale per i malintenzionati, interessati agli animali o ai marenghi d’oro che i mercanti portavano con se’ per potere perfezionare gli acquisti.
La gola del Piottino, sottostante a Prato in Leventina, era il luogo ideale per tendere imboscate, poiche’ in quel punto le mandrie incontravano grandi difficolta’ di cammino e quindi il convoglio veniva rallentato e compresso nella gola che, in certi punti, e’ larga appena poche decine di metri.
Franco Gendotti di Rodi, frazione di Prato Leventina, descrive nella mostra “Dal sentiero… all'Alptransit”, le difficolta’ del passaggio in questa zona:

“...Stefani ch'l'era mo’ su la coreisgia indo' ch'i metevan int i marengh e la campanela… e certi vacch i metevan i fer parche’ sui sass isci'… i ruvavan sgio ch'i evan pioo ded ongia: i metevan sott i fer par pode’ fe’ l viecc.”

Lo Stefani (un mercante, o forse uno dei tanti uomini di fiducia leventinesi, che accudivano le bestie durante il tragitto n.d.r.) aveva ancora la correggia dove metteva dentro i marenghi e il campanaccio… e a certe vacche mettevano i ferri perche’ sui sassi cosi’… arrivavano giu’ che non avevano piu’ unghie: mettevano i ferri sotto gli zoccoli per poter fare il viaggio.

Per ovviare al rischio di assalti ed alla difficolta’ di transito, nel corso del XIV secolo fu costruita una mulattiera che permetteva l’attraversamento a monte della gola del Piottino, passando proprio da Prato in Leventina, che divenne cosi’ un’importante tappa sulla via del trasferimento delle mandrie.
Mentre i mercanti e i loro uomini di fatica trovavano conforto corporale nelle locande del paese e spirituale nella chiesa di San Giorgio, le mucche potevano rifocillarsi nel soprastante pascolo, il prato, appunto, che ancor oggi si stende sulla pianeggiante vetta del monte Piottino, paradiso degli sciatori di fondo durante l’inverno e degli amanti delle passeggiate durante il resto dell’anno.
Prato in Leventina divenne cosi’ la sede di un’importante corporazione di conduttori di animali da soma e, presto, comincio’ a catalizzare le attenzioni di quei malintenzionati che poco tempo prima aspettavano nella gola sottostante il passaggio di animali e marenghi d’oro.
Alcuni documenti ricordano che nel 1397 fu eretta, probabilmente dai Visconti, una torre difensiva, con lo scopo di tenere alla larga i briganti; la torre fu poi demolita e parte del materiale conflui’ nella costruzione della chiesa parrocchiale dedicata a San Giorgio.
I tempi sono cambiati: le mandrie si spostano in treno o sui camion, i briganti hanno obiettivi diversi e l’uomo sfrutta a suo vantaggio la conformazione territoriale di questa zona.
In particolar modo proprio la gola del Piottino che, cosi’ stretta, da’ forza alle acque del Ticino, consente il funzionamento della centrale elettrica di Lavorgo.
Prato in Leventina non vive piu’ della transumanza delle mandrie ed e’ diventata una piccola ma graziosa stazione turistica, luogo di partenza di escursioni durante l’estate e meta degli sciatori di fondo e discesa durante la stagione fredda.
In poche ore di cammino si possono raggiungere zone di particolare bellezza, come la regione del Leit, del Campolungo e del Campo Tencia.
Una menzione particolare merita il lago Tremorgio, a quota 1800, raggiunto dalla funicolare piu’ ripida d’Europa, che parte dal vicino paese di Rodi; si ritiene che il bacino di questo piccolo lago sia stato costituito dall’impatto di una meteorite, vista la forma pressoche’ tondeggiante e, soprattutto, gli inspiegabili segni di elevatissima compressione che presenta la roccia di cui il bacino stesso e’ composto.
Ottocento metri piu’ a valle il vecchio campanile vigila su questa placida zona, costellata delle antiche case di legno tipiche della regione del Gottardo e guarda con occhio benevolo i passanti che, senza fretta, si godono l’aria pura e il silenzio.
Pochi chilometri piu’ in la’, il traffico e’ sempre bloccato…