Selvadig

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 84 - febbraio 2011



Di gente famosa sul nostro lago ne è vista tanta; i più recenti George ed Ely sono stati preceduti da un numero considerevole di cantanti, attori, calciatori, politici ed altri VIP che hanno deciso di vivere sulle sponde del Lario, o di trascorrervi periodi di vacanza e di relax.
I nomi si sprecano e comprendono personaggi di fama mondiale: da Lord Byron ad Ugo Foscolo, da Brad Pitt a Lucio Battisti, passando per calciatori come Ronaldo e Rummenigge e senza dimenticare il carosello degli elicotteri che ogni anno trasportano i piloti del Gran Premio di Formula 1 dall’autodromo di Monza ai nostri Hotel più prestigiosi.
Molto dipende sicuramente dall’indiscussa bellezza del paesaggio, dal prestigio di tante dimore e di altrettanti hotel, dalla vicinanza con la metropoli e con la Svizzera, dalla possibilità di associare la propria immagine ad un contorno da favola, o semplicemente dal fatto di potere passare un periodo della propria vita sul lago più bello del mondo.
Altrettanto però è certamente dovuto alla nota riservatezza dei comaschi, gente che non opprime i vicini di casa per quanto arrivino da Hollywood, o siano idoli dei palcoscenici o degli stadi.
Giusto per continuare ad occuparci dell’inquilino più recente ed amato, è facile immaginare come per George sia stato un grande piacere quello di potersi sparapanzare in pace sulla spiaggetta di Villa Oleandra insieme alla sua compagna, una gioia per gli occhi dei più, senza essere assalito da orde di ammiratori fanatici, oppure di potere uscire tranquillo di casa con la barba lunga e le scarpe da tennis, senza che nessuno mostrasse più sorpresa di quella riservata all’incontro con il portalettere, il parroco od il vigile di zona.
I comaschi sono gente tranquilla, pacata e poco incline a manifestazioni vitali al di sopra delle righe; un atteggiamento che a qualcuno può sembrare freddo od ostile, ma che racchiude invece l’essenza di un carattere forgiato in secoli di vita e di lavoro tra le montagne ed il lago, tra la pioggia abbondante ed il sole che non c’è mai, tra il freddo di dieci mesi l’anno e la canicola degli altri due.
I cumasc in selvadig, diceva sempre il nonno, al quale fece eco per molti anni il mio papà; i comaschi sono selvatici.
Non schivi, non riservati, non timidi, non freddi, non ostili: selvatici; un termine che lì per lì potrebbe sembrare offensivo, ma che esprime molto bene il modo di essere di coloro che affondano le proprie radici sulle sponde del lago.
Selvatico anzi, selvadig, è l’animale che conta su sé stesso per vivere e per il quale ogni vicino può essere un intruso, un potenziale pericolo o, nella migliore delle ipotesi, qualcuno che si può ignorare.
É l’animale il cui mondo comincia in una tana, si espande in un territorio definito ed a sera nella stessa tana deve in qualche modo terminare, per potere dare vita e futuro alla propria discendenza.
Tuttavia, non necessariamente selvadig significa cattivo, brutto, pericoloso; non necessariamente significa solitario, pauroso, ostile.
Ci sono animali selvadig assolutamente magnifici e mansueti, persino quelli carichi di veleno come le vipere dei nostri monti, che basta lasciarle stare e non attaccano mai per prime.
Ci sono animali selvadig che vivono in branco e che nel nome del branco sono capaci di atti di grande coraggio.
Di certo, invece, l’animale selvadig non si lascia prendere facilmente, si avvicina se e quando vuole lui, ma di solito non si avvicina proprio e, se ci riesce, non si fa neppure vedere.
Talvolta l’animale selvadig fiuta il pericolo anche dove non c’è e, per stare sempre dalla parte della sicurezza, preferisce perdere un’occasione piuttosto che esporsi troppo per coglierla.
Se nelle frasi precedenti sostituissimo “l’animale selvadig” con “il comasco”, credo che ne scaturirebbe uno spaccato a mio parere molto esemplificativo del nostrano carattere, nel quale francamente mi ritrovo assolutamente, visto che sono un selvadig DOC da più di mezzo secolo.
Certo, oggi siamo nella società della globalizzazione; le culture, gli idiomi, le religioni ed il colore della pelle si stanno rimescolando e sempre di più le giovani generazioni si trovano a crescere ed a formare il proprio carattere in un mondo multiculturale e multirazziale.
Sicuramente grazie a questa miscellanea di etnie presto l’umanità saprà parlarsi e comprendersi meglio di quanto non sia stata capace di fare finora; chissà che proprio i nostri figli non siano gli artefici di un mondo più pacifico di quello che consegneremo loro in eredità.
Tuttavia, come accade per tante altre creature, a seguito di questo rimescolamento di usi e costumi il comasco selvadig è a rischio di estinzione.
Di certo né il WWF né nessun’altra associazione ambientalista si muoverà in favore di questa specie, che temo scomparirà dalla faccia della terra senza lasciare molti rimpianti.
Resterà tanta gente schiva, tanta gente timida, tanta gente riservata, persino tanta gente fredda ed ostile; il comasco selvadig, invece, non ci sarà più e con lui scomparirà l’opportunità unica di stringere un rapporto che solo con questo strano tipo di essere umano era possibile.
Antoine de Saint- Exupéry, che bene conosceva l’umanità, tracciò nel suo libro “Il Piccolo Principe” un acquerello delizioso descrivendo in poche righe la bramosia della volpe, animale selvadig per eccellenza, di essere addomesticata dal Principino e diventare quindi qualcosa di unico per lui.
É un gioco sottile e delicato quello tra i due protagonisti della scena: “gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte, ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami", dice la volpe.
"In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla: le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino..." continua la volpe, che la tradizione vuole come un animale furbo ed infido, al quale è meglio non girare mai le spalle.
E così, poco alla volta e senza uso di parole inutili, l’animale selvatico cede alle lusinghe del Piccolo Principe, fino a fargli esclamare: "Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo".
Questa è la grande differenza caratteriale che intercorre tra il comasco selvadig e gli altri umani poco inclini alle relazioni sociali: chi è timido può essere incoraggiato, chi è scontroso può essere addolcito, chi è freddo può essere toccato nell’animo, chi è ostile può essere trasformato in complice; il comasco selvadig va addomesticato, consci che questo particolare rapporto comporta un legame psicologico ed affettivo che va ben oltre alla normale amicizia o a qualunque altro rapporto umano.
Addomesticare un selvadig vuole dire riuscire a fargli assumere comportamenti che sono lontani dalla sua natura e, in qualche modo, farlo entrare in un mondo che non è il suo; non bastano affetto o complicità per tutto questo: ci vogliono responsabilità, impegno quotidiano, creatività, spirito di sacrificio.
Però chi riesce nell’impresa può essere certo di avere conquistato un amico per la vita, di avere al proprio fianco una persona appagata dalla sola idea della vicinanza, pronta a dedicare l’esistenza al proprio partner.
Nella mia ormai non breve vita, di comaschi selvadig addomesticati fino in fondo ne ho visti pochi: forse chi ci ha provato non era all’altezza, forse non si è impegnato abbastanza, forse non era davvero così interessato ad avere un amico o un compagno di quelli speciali, o forse lo spirito selvadig era troppo forte ed il richiamo della natura e della libertà hanno avuto il sopravvento.
In quei pochi casi dove, al contrario, ho visto realizzarsi il miracolo, posso dire senza dubbio alcuno di avere assistito al nascere, crescere ed evolversi di rapporti umani che sono andati ben oltre le burrasche della vita e, talvolta oltre la vita stessa; rapporti pregni di appagamento e di soddisfazione, si trattasse di amicizia, di amore, o di infinite e meravigliose storie coniugali.
In tutto questo, ammaestratore ed ammaestrato hanno dato e ricevuto in parti uguali ed hanno condiviso il segreto più prezioso della vita, quello custodito nel cuore di ogni selvadig che, da persona poco attratta dall’esteriore, ma molto attenta alla sostanza, ha ben chiaro ciò che Saint  Exupéry mise sulle labbra della volpe e che rappresenta la chiave di volta di un’esistenza felice: "Ecco il mio segreto. É molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".