Volandia – parco e museo del volo

Riflessioni disordinate

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 82 - dicembre-gennaio 2011


Confesso che la mia intenzione era quella di realizzare un report in vero stile “guida turistica” relativo a Volandia, il piu’ grande parco e museo italiano dedicato all'aeronautica recentemente realizzato nell'area delle ex Officine Caproni di Vizzola Ticino, proprio di fianco alle piste dell’aeroporto di Malpensa; non ci sono riuscito…
La magica atmosfera di ogni luogo dove sono conservate, sotto forma di macchine o di altre vestigia, le memorie aeronautiche di chi mi ha preceduto in cielo mi ha rapito sulla soglia del museo, mentre i buoni propositi di appuntarmi per benino tutto cio’ che sarebbe servito a confezionare un reportage in piena regola sono andati in fumo non appena ho captato le vibrazioni degli esseri alati esposti negli hangar
Per chi volesse informazioni piu’ pratiche c’e’ un bel sito, www.volandia.it, dove trovare storia, eventi ed informazioni varie di questo nuovo museo, che vale una visita anche da parte di chi non e’ cosi’ interessato ai fatti ed alla gente dell’aria.
Il resto che segue sono solo le riflessioni disordinate di chi invece ha passato e passa tuttora la vita non solo a pilotare aeroplani, ma a parlare con loro, a raccoglierne e custodirne le memorie, a riceverne e ricambiare l’affetto.
Se l’impressione che avete e’ quella che sia fuori di testa, beh, come darvi torto?
L’ambiente trasuda storia da tutti i pori, a cominciare dagli edifici che ospitano il museo, dove si e’ vissuta una vera epopea aeronautica all’inizio del novecento.
Qua sono stati gettati i semi di cio’ che oggi e’ l’aeroporto intercontinentale di Malpensa, grazie all’opera di tecnici, progettisti ed ardimentosi piloti.
Fu nel 1910 che il primo aereo volo’ sopra questi boschi, disegnato dall’Ing. Gianni Caproni e portato in volo da Ugo Tabacchi, di professione autista, che mai prima di quel momento aveva steso le mani sui comandi di una macchina volante.
Protagonista dell’impresa fu il Caproni Ca.1, che oggi e’ esposto nel museo: il piu’ antico aereo conservato in Italia.
Ca.1 si lascia guardare, con la tela delle ali color bianco candido che lo avvolge cosi’ come il tulle abbraccia i fianchi di una ballerina, conscio di essere una vera prima donna; e’ tutto meno che vecchio e stanco: se qualcuno schioccasse le dita sarebbe pronto a riprendere le vie del cielo e a fare vedere ai colleghi, che ogni minuto prendono il volo dalle piste di Malpensa, come si puo’ volare con solo trenta cavalli di motore, un prato invece di un aeroporto e un pilota senza esperienza, ma con un fegato da leone.
Appena entrati nei capannoni c’e’ un biplano tutto rosso appeso al soffitto del locale bar; non e’ un aereo qualunque, ma un pezzo unico; il Pitts S1-TGM, con le marche I-PITT.
Conoscevo il suo costruttore e pilota, cosi’ come lo conoscevano tutti nel settore, perche’ era un grande; centinaia e centinaia di ore passate a fare capriole per aria con questo gioiello e a giocare a coppe e spade con la forza di gravita’ e con i carichi G.
L’ultima volta che lo vidi fu nel “mio” aeroporto, mentre lui e I-PITT sfrecciavano con le ali tese a riempire l’aria di armonia e di potenza allo stesso tempo.
Se ne e’ andato troppo presto e in maniera completamente diversa da quella che la gente comune avrebbe immaginato per un personaggio simile: in silenzio e lontano dalle folle che lo hanno acclamato in mille air-show.
I visitatori bevono il caffe’ mentre I-PITT fa sfoggio della sue forme leggiadre e sta appeso tranquillo, ma ogni tanto qualcuno lo guarda e sottovoce ricorda il nome di chi lo volo’ per anni: Giorgio.
I-PITT allora vibra di rimpianto e quella sua ultima collocazione statica gli va stretta; quel gancio che lo tiene sospeso gli si stringe intorno come il collare di un cane alla catena, mentre lui vorrebbe disegnare almeno una volta ancora un cuore grande cosi’ nel cielo, per testimoniare alla gente dell’aria e a tutti quelli che lo ammirarono che Giorgio non lo dimenticheremo mai.
Piu’ avanti c’e’ un intero salone dedicato alle creature dell’Ingegner Ermanno Bazzocchi.
Anche chi non e’ appassionato di volo conosce le Frecce Tricolori: l’aereo sul quale si esibisce la nostra Pattuglia Acrobatica Nazionale, il MB339, e’ stato progettato proprio da Bazzocchi, varesino DOC.
La storia di Ermanno Bazzocchi e’ la storia dell’ultimo secolo italiano: il suo primo aereo, l'EB-1 "Littore", lo porto’ alla vittoria nel 1936 dei “Littoriali della Cultura” di nostalgica memoria e da allora la sua vita fu un continuo partorire creature aeronautiche, delle quali a Volandia si trovano il MB 308, meglio conosciuto come “Macchino”, che ha insegnato a volare ad almeno tre generazioni di piloti, il MB 326, realizzato alla fine degli anni cinquanta per addestrare i piloti dell'Aeronautica Militare e, naturalmente, il MB339.
Uomo di enorme cultura, ma burbero e schivo, stupi’ non poche persone quando scrisse una prefazione al mio libro “L’Asso di Cuori”; un onore che mi porto dietro con l’orgoglio che merita.
Bazzocchi ci ha lasciato non molto tempo fa a piu’ di novant’anni; fuori dall’ambiente era pressoche’ sconosciuto, perche’ l’aeronautica, almeno in Italia, non e’ materia che renda famosi e neppure ricchi, ma se dovessimo fare dei paragoni Ermanno Bazzocchi sta all’aviazione come Enzo Ferrari sta all’automobilismo ed Enrico Caruso al canto lirico.
I tre aerei del grande ingegnere sono li’ insieme e tradiscono, con le loro linee pulite e con le loro soluzioni essenziali, la mano del progettista che, come mi confesso’ una volta che ebbi l’onore di pranzare con lui, amava gli aerei semplici e lineari e “minga fa’ su' cunt mila ciapitt de fer taca’ insema”.
Ogni volta che battete le mani alle Frecce Tricolori, ricordate che dall’Alto il grande Ermanno sorride.
La ricostruzione dell’officina Caproni, la prima ditta aeronautica italiana del ‘900, vale una riflessione per la maestria, vorrei dire l’arte, con la quale da legno e tela si ricavavano macchine all’avanguardia per quei tempi.
Un discorso particolare merita la fabbricazione delle eliche, ricavate da blocchi di legno pieno a colpi di sgorbia, raspa e carta vetrata; una passata di troppo e il lavoro era da buttare, eppure per decenni sapienti artigiani fornirono eliche prestanti e bilanciate al mondo aeronautico.
Cosa faremmo oggi se macchinari computerizzati e materiali compositi non fossero disponibili?
Anche un blocco di legno che lascia trasparire l’abbozzo di un elica puo’ dimostrarci la nostra ormai totale dipendenza dalla tecnologia.
C’e’, in un ambiente in penombra, la carcassa di un S.79, ritrovato cinquant'anni fa nel deserto della Libia con i resti dell'equipaggio a bordo.
Come sia finito a terra non e’ stato mai chiarito, ma la salma dell'aviere Giovanni Romanini, che giaceva a novanta chilometri dal relitto percorsi a marce forzate nel tentativo di dare l'allarme, testimonia quale tragedia abbia vissuto quello sfortunato equipaggio composto da sei uomini ai comandi del Capitano Cimolini.
L’atmosfera in quella sala e’ cupa e greve e il Settantanove, ridotto ormai ad uno scheletro, non sa darsi pace per avere condotto alla morte quegli uomini.
Guasto tecnico? Errore di navigazione? Problemi di autonomia? Lui, dopo tanti anni non lo ricorda piu’; sa solo che aveva sei uomini da portare a casa e non ci riusci’…
Romanini cammino’, cammino’ e non torno’ piu’ e lui, il Settantanove, avvolse gli altri cinque nell’ultimo abbraccio e li tenne stretti con se’, fino a quando, decenni dopo, dei tecnici alla ricerca del petrolio lo ritrovarono sotto la sabbia e gli consentirono di finire qua a Volandia, con la consolazione di sapere che i suoi avieri sono stati sepolti con tutti gli onori militari.
Potrei andare avanti un pezzo; quando parlo con gli aeroplani, o di aeroplani, non la finisco piu’.
La’ c’e’ un elicottero uguale a quello con il quale in gioventu’ andavo a staccare alpinisti dalle pareti o a trasportare malati, la’ c’e’ il mock up del M346, che Macchi sta sviluppando a Venegono, la’ c’e’ un Vampire dalla magica struttura bitrave che ha ancora velleita’ di volo, poi c’e’ il convertiplano che promette di mutare il concetto stesso di trasporto aereo, ci sono gli aeromodelli, i simulatori e un milione di altre cose.
Non ultimo, nel parco si trova una bellissima torretta dalla quale si possono ammirare con un cannocchiale gli aerei in movimento sulle piste di Malpensa; ci ho passato un’ora, fino a che gli occhi mi facevano male e, che ci crediate o no, non c’e’ stato un solo aereo di quelli che ho inquadrato che non mi abbia sorriso e detto ciao e che non ce l’abbia poi messa tutta per decollare con l’aria seria, sapendosi osservato da uno del mestiere.
Vabbe’, mi fermo qua, prima che dalla redazione di Como&Dintorni mi venga inviata un’ambulanza per trasferirmi in una clinica psichiatrica.
Pero’ voi andate a farvi un giro a Volandia anche se non siete fanatici del volo, o se non siete uomini che sussurrano agli aeroplani come il sottoscritto; credetemi che ne vale la pena.

Volandia - Parco e Museo del volo
Area Ex Officine Aeronautiche Caproni
Via per Tornavento, 15
Case Nuove
21019 Somma Lombardo (Varese)
SS336 per Malpensa - uscita Somma Lombardo - Case Nuove
Collegamento pedonale con Aeroporto Malpensa – T1

Infoline 0331.230.007
info@volandia.it
www.volandia.it